3°Assemblea
Nazionale
delle delegate e delegati
Relazione
di
PATRIZIA DI BERTO
(FP CGIL
Teatro Mediterraneo - Mostra d’Oltremare
Perché
un’altra ricerca sul lavoro delle donne?
Cosa c’è ancora di ignoto in un universo ormai molto esplorato , e che,
tuttavia, ci consegna una immagine fatta più di ombre che di luci?
Tutti noi
crediamo di conoscere quali siano i troppi ostacoli che impediscono una presenza
significativa delle donne nei livelli di responsabilità e nelle funzioni più
qualificanti, tutti noi sappiamo che il “tetto di cristallo” esiste è però
necessario conoscere, nello specifico, le situazioni per ricercare le strategie
necessarie a superarlo.
Questa
indagine, voluta dalla segreteria nazionale della FP CGIL e dal Coordinamento
nazionale della Polizia Municipale, è stata per noi un importante strumento per
verificare e acquisire elementi di conoscenza sulle condizioni di lavoro delle
lavoratrici della Polizia Municipale e
sugli aspetti professionali e di carriera del loro lavoro.
La
Polizia Municipale e Locale occupa 56.000 vigili di cui circa il 47% sono donne
.
La
presenza delle donne nella Polizia Municipale è relativamente recente, il loro
ingresso in numero rilevante coincide con l’innalzamento del titolo di studio
richiesto per l’accesso,infatti dal 1983 con la richiesta del diploma di
scuola media superiore per i concorsi inizia un trend positivo di accesso delle
donne che le porta, nel giro di 15 anni, ad
essere circa la metà degli addetti.
A
fronte di queste percentuali si registra un forte addensamento di donne nei
profili di accesso, cioè agente, presenza che diminuisce in modo esponenziale
nelle funzioni gerarchiche e di comando fino ad arrivare al di sotto del 5% tra
i Comandanti.
Emblematico
che 15 anni di presenza delle donne nella Polizia Municipale caratterizzate da
una alta scolarità non abbia fatto registrare neppure una donna con qualifica
di comandante nelle città metropolitane.
Pur
nella eterogeneità che caratterizza gli oltre 8000 comuni italiani,
profondamente diversi sia per ampiezza sia per sia per contesti territoriali nei
quali si collocano, permangono quindi rilevanti differenze sul piano della
qualità del lavoro assegnato e
sulla presenza nei livelli gerarchico funzionali più alti.
Va
fatto inoltre rilevare che, in violazione del vincolo di organizzare i dati per
sesso da parte delle P.A., manchino dati certi sulle percentuali di donne nelle
singole figure e funzioni e siano ricompresse nei dati statistici del personale
degli Enti Locali laddove, invece, per
le caratteristiche del lavoro e la storia di questo comparto il trend appare più
equilibrato.
Questa
situazione rende ancora più importante far rispettare il CCNL che, tra i
compiti dei Comitati per le pari opportunità, prevede la stesura di un rapporto
annuale sulla situazione del personale maschile e femminile divisi per profili e
riferita ai dati di carriera e di salario reale complessivo. Va però ricordato
che la tipologia del comparto, fortemente articolato in realtà anche molto
piccole, non garantirà la piena conoscenza dei fenomeni.
L’analisi
degli addensamenti per profilo e funzioni risulta di particolare rilevanza anche
in considerazione della percezione espressa dalle intervistate sulle possibilità
di carriera che per il 47% delle donne risultano esser maggiori per gli uomini.
Va rilevato che questa valutazione arriva al 68% se si considerano le risposte
delle donne con una anzianità di servizio superiore ai 10 anni, il che dimostra
che la conoscenza della realtà abbatte l’ottimismo.
L’elemento
carriera risulta essere particolarmente rilevante se, collegandolo alla
struttura del CCNL, prendiamo in considerazione sia la cosiddetta carriera
verticale, ovvero le funzioni gerarchiche, che quella orizzontale.
Il
nuovo modello di contrattazione che demanda la gestione dei percorsi di carriera
orizzontale al contratto di secondo livello impone una attenta riflessione su
quali debbano essere i criteri da escludere per la progressione orizzontale
perché potenzialmente discriminatori e sulla consapevolezza, che deve essere
sviluppata in tutte le nostre delegazioni trattanti, che non esistono percorsi e
modelli neutri.
Per
tutti un esempio, certamente il più eclatante, riconoscere un grande valore
alla formazione e poi accettarne una organizzazione fuori orario di lavoro o in
luoghi lontani o residenziale elementi che , l’esperienza insegna, producono
auto esclusione e scarsa partecipazione delle donne in particolare di quelle che
hanno impegni pressanti nel lavoro di cura o una famiglia da gestire. Ma c’è
di peggio , c’è persino chi esclude dalla valutazione per le progressioni
orizzontale i part- time, laddove dovrebbero essere considerati almeno in
rapporto al tempo di lavoro , dimenticando che il 75% di questi rapporti di
lavoro riguarda le donne.
E’
ancora necessaria una corretta analisi dei criteri che vengono proposti nelle
selezioni, il continuo e quasi esclusivo riferimento alla “disponibilità”
quale elemento essenziale per rivestire funzioni di responsabilità
così come la super valutazione dell’anzianità di servizio
costituiscono dei reali impedimenti per le donne e, in qualche modo spiegano
anche i dati di scarsa presenza in tali ruoli.
Il
lavoro non è fatto solo di riconoscimenti formali ma di clima, di
riconoscimento di professionalità e, non ultimo, qualità del lavoro e della
vita.
L’organizzazione
del lavoro che da sempre è al centro della attenzione dei lavoratori appare,
dalle risposte dei questionari, poco compatibile con il doppio ruolo e, quel che
è peggio, molto più orientata ad una gestione di comprensione paternalistica
che ad una attenta gestione delle risorse umane.
Dall’analisi
emerge una scarsa compatibilità tra carriera e famiglia ma poi, parlando con le
lavoratrici o analizzando le soluzioni adottate ci si accorge che le cose
vengono “sistemate” dal responsabile magari cambiando i turni all’ultimo
momento oppure assegnando alcune lavoratrici a lavori compatibili con il loro
doppio ruolo il che rischia di produrre un danno per tutte.
Siamo
così sicure che nel fare i turni di servizio serva che tutti prendano servizio
alla stessa ora o invece possiamo pensare ad articolazioni orarie, contrattate,
che permettano una diversa organizzazione degli orari?
Perché
si concentra il problema sui turni
di notte e non su una corretta programmazione delle attività e conseguentemente
del fabbisogno di personale nei singoli turni per verificarne la fattibilità e
i problemi dei lavoratori?
Sembra
che chi ha funzioni di organizzazione preferisca di più la contrattazione
individuale fatta di piccole concessioni e favori a danno magari di altre
lavoratrici che una corretta contrattazione sull’organizzazione del lavoro che
fissi diritti e doveri e, partendo dal tipo di attività, stabilisca le regole.
L’assenza
di regole certe e di contrattazione collettiva, oltre a creare il “mugugno”
tra i lavoratori, può provocare un
vero danno alla percezione che si ha della lavoratrice e anche alla valutazione
della sua professionalità.
Un
dato interessante risulta essere quello relativo alla percezione che le donne
della polizia Municipale hanno di come vengono considerate dai colleghi.
Si
sentono meno considerate il 33% di donne, la loro percezione viene confermata
dal fatto che il 69% delle intervistate pensa che i colleghi si sentano più
tranquilli, in situazioni a rischio, se lavorano tra uomini, le donne
invece si considerano adatte a fare le stesse cose degli uomini per il
72%.
Al
di la di una scontata, anche se sempre valida analisi sociologica, della
percezione di scarsa affidabilità delle donne in situazioni “a rischio”
quello che si evince è una diffusa mentalità del muscolo e della pistola che
disegna un modello repressivo e riduttivo delle competenze della polizia
municipale.
Sicuramente
se pensiamo alla presenza nelle manifestazioni sportive una certa prestanza
fisica non fa male, non è però caratteristica esclusiva degli uomini, ma se
cominciamo a ragionare sul ruolo di prevenzione e gestione del territorio o
sugli interventi sull’emarginazione magari in una logica anti- emarginazione
ci accorgiamo che può essere più utile una preparazione specifica e di
interazione con i servizi sociali.
Per
non negare il problema del rischio di un intervento fisico forse risulterebbe più
utile mettere tutti, donne e uomini, in
condizioni di saper intervenire attraverso l’istituzione di corsi di auto
difesa che consentirebbero una corretta preparazione non solo nelle così dette
situazioni a rischio conclamato ma in tutti gli eventi che si possono
verificare.
Spesso
ci si dimentica che anche il controllo dell’annonaria, specie sugli ambulanti,
può trasformarsi in una situazione a rischio e che i fenomeni di immigrazione
dai paesi di cultura araba pongono ben altri problemi di accettazione del
riconoscimento di ruolo ad una donna.
Una
attenzione particolare va rivolta alla percezione che della donna della polizia
municipale hanno i cittadini, anche qui la percezione è condizionata da una
cultura che tende a sottovalutarne il ruolo fino alla derisione.
Facile
la denuncia più difficile trovare strumenti di crescita culturale diffusa
quello che però sembra interessante è evidenziare che questo tipo di problemi
producono nella lavoratrice due effetti uno di stress da disconferma
professionale che va considerato e riequilibrato nell’ambito
lavorativo attraverso una organizzazione che, riconoscendo le differenze,
le sappia utilizzare quale ricchezza per intervenire nei diversi momenti e nelle
diverse situazioni, l’altro di
auto difesa che porta le donne, come nel mito di Demetria che si trasforma da
dea della vita e della fecondità in dea della vendetta e della morte, a
assumere atteggiamenti particolarmente rigidi e modelli tipicamente maschili la
cui adeguatezza è tutta da
dimostrare.
Che
non vi sia parità reale lo dimostra anche la risposta sui servizi considerati
“inadatti” alle donne, meraviglia che tra essi sia citato quello sui nomadi
salvo poi dover ricorrere alle donne se viene fermata una zingarella che deve
essere perquisita allora sono loro le uniche a poter fare il lavoro, il più
brutto, quello che più attiene alla sfera della persona.
Altro
servizio citato è quello delle pattuglie dei motociclisti ma in realtà non è
inadatto il servizio ma le moto che vengono acquistate solo di cilindrata 750
e oltre anche se poi nel traffico delle città non sono né utili né
funzionali ma fanno scena e danno l’impressione di potenza che sembra essere
il fine ultimo perseguito.
Che
le donne della Polizia Municipale siano impegnate in una attività particolare
lo ha riconosciuto, prima della cultura diffusa, la legge.
L’aver
stabilito con l’art. 14 della legge 53/2000
il divieto di adibire al lavoro operativo le lavoratrici durante il
periodo di gravidanza è un implicito riconoscimento del loro pieno inserimento
in tutte le attività e della necessità di esclusione da alcune attività solo
in determinate condizioni, la legge limita le condizioni per il corretto e
fondamentale diritto diseguale.
Cosa
ci dice allora questa nostra indagine? Ci dice che se una parte del nostro
percorso è stata compiuta il traguardo non è ancora stato raggiunto La
realizzazione delle pari opportunità incontra infatti difficoltà ed ostacoli
mai esplicitamente dichiarati e codificati, ma non per questo meno reali.
Di
là dall’importanza di una piena e costante applicazione delle norme il nostro
obiettivo deve essere quello di intervenire sulle prassi organizzative e sui
contenuti della contrattazione rispetto ai quali esistono ampi margini di
intervento che, opportunamente utilizzati, potrebbero migliorare il clima
interno, a tutto vantaggio delle donne e degli uomini che vi lavorano.
Innanzi
tutto crediamo siano cruciali le
politiche di gestione delle risorse umane, a cominciare dalla promozione delle
attività formative , che devono puntare alla valorizzazione delle
professionalità e delle competenze, rispettando le diversità senza alcun
pregiudizio di genere.
Non
si tratta solo di questo. Migliorare l’organizzazione del lavoro significa
rendere più facile, per tutti, la conciliazione dell’attività lavorativa con
la vita quotidiana; da questo punto di vista le indicazioni provenienti dalla più
recente normativa offrono inediti spazi di intervento finora negati che
potrebbero invece rappresentare il punto di partenza per la realizzazione di
politiche favorevoli alla crescita professionale delle donne e alla
realizzazione di modelli di lavoro migliori per tutti.
Le lavoratrici della polizia Municipale e Locale rappresentano circa il 47% del personale della Vigilanza.
L’ingresso delle donne in questa area professionale risale al 1978 ma solo dopo il 1983, anno in cui è stato innalzato il titolo di studi per l’accesso al profilo di agente con la richiesta del Diploma di scuola media superiore, si è verificata una crescente partecipazione di donne ai concorsi.
La
Ricerca è stata svolta attraverso la distribuzione di circa 7000 questionari,
tramite le strutture territoriali della FP CGIL, a donne che operano nei corpi
di Polizia Municipale.
Al
termine dell’indagine sono stati restituiti, compilati, ben 2057 questionari.
Pur
non essendo stato preventivamente bilanciato il campione, l’alto numero di
risposte ci fornisce indicazioni di alto livello quantitativo, presentandoci una
varietà delle partecipanti molto rappresentativa sia per area geografica che
per tipologia di centro urbano.
Nel
55% si tratta di lavoratrici del nord e la maggior parte delle intervistate , il
41%, opera in Comuni di dimensioni medio grandi (tra i 100000 e i 500000
abitanti).
Forte
la presenza di donne di età compresa tra i 30 e i 40 anni ( 53%) e le donne
coniugate (56%).
Una
struttura costruita sul genere maschile
Per
un profilo professionale che fino a 15 anni fa era pensato per soli uomini e che
rappresentava la tutela dell’ordine pubblico era prevedibile che, nonostante i
numerosi accessi di lavoratrici, non si verificassero mutamenti veloci e
radicali sia nell’organizzazione che nella cultura del lavoro.
Prevale,
nelle risposte ai questionari, la sensazione che sia in atto un mutamento lento
ma profondo anche se vengono denunciati i comportamenti dei responsabili spesso
orientati ad un rallentamento del processo anziché ad un suo sostegno.
Colpisce,
infatti, che ben il 52% delle interpellate dichiari che qualcosa sta cambiando ,
pur in presenza di troppa cultura maschile, ed un 37% dichiari che non esistono
differenze.
Una
valutazione più negativa pari al 50% delle risposte viene fatta dalle donne coniugate che valutano la struttura
pensata solo per gli uomini.
Avere
una famiglia o non averla crea una grande divergenza di opinioni tra le
lavoratrici consegnandoci un quadro della realtà che fa sentire fortemente
penalizzate le donne coniugate rispetto alle single.
Dalle
risposte emerge che mentre il 53% delle donne reputa compatibile lavoro e
famiglia questa percentuale scende al 15% se analizziamo le risposte date dalle
donne coniugate .
Possibilità
di carriera e riconoscimento della capacità professionale
L’indagine mette in luce una valutazione sulle possibilità di carriera che divide quasi a metà le partecipanti.
L’anzianità
di servizio crea una prima grande differenziazione sulla valutazione.
Emerge
dall’indagine un grande ottimismo e una grande fiducia nelle risposte delle
donne con meno anni di servizio, convinte di strappare pari opportunità ai
colleghi maschi, mentre le esperienze delle lavoratrici con più di 10 anni di
servizio abbattono l’ottimismo fino a portare al 68% coloro che considerano più
facile per un uomo far carriera.
Particolare interesse rivestono i dati relativi alla percezione del riconoscimento professionale da parte degli altri lavoratori e dei responsabili.
Per quanto riguarda la considerazione dei colleghi va segnalata una differenziazione per aree geografiche che porta il 46% delle donne del sud a dichiarare di essere meno considerata mentre la media complessiva è del 33%.
Entrando
nel merito delle attività il 69% delle lavoratrici percepiscono
una preferenza a lavorare tra uomini nei casi di situazioni a rischio
quali controlli su strada o in zone ad alta densità criminale.
Va segnalato che, invece, il 72% delle intervistate si considera adatta a fare la stessa attività degli uomini anche in questi tipi di servizi.
Per completare il quadro sulle condizioni di lavoro e la realizzazione di pari condizioni e opportunità sul lavoro è utile analizzare i risultati delle domande sull’assegnazione di campi di attività a partire dalla considerazione di adeguatezza delle donne ai vari compiti da parte dei dirigenti.
Va notato che i si raggiungono il 71% delle risposte delle intervistate del nord Italia
Tra coloro che si sono espresse su una divisione di genere nell’assegnazione delle tipologie di servizio le citazioni dei servizi cui non vengono assegnate le donne sono risultate non omogenee e , quindi, di difficile tabulazione.
Tra essi, comunque,risultano maggiormente richiamati i servizi di ordine pubblico, anche se la dicitura decisamente generica non aiuta una seria analisi dei casi, gli interventi con extracomunitari e nomadi ,le pattuglie notturne e i motociclisti.
Diverso il ragionamento sul grado di considerazione percepito dalla intervistate nei rapporti con i cittadini.
Malgrado il crescente numero di” donne in divisa” continua a registrarsi una cultura, che riguarda sia le cittadine che i cittadini, che tende a non prendere sul serio il ruolo svolto o peggio a considerare le donne che lo svolgono peggiori degli uomini perché più rigide e meno comprensive.
L’essere meno rispettata perché donna è denunciato dal 61% delle intervistate con età maggiore a 40 anni.
Le ultime domande del questionario riguardano due aspetti molto particolari la sicurezza personale e l’onestà
Per quanto attiene la sicurezza personale la domanda si riferiva esclusivamente al possesso di un’arma e le donne si sono espresse a favore della necessità di essere armate per il 63% quelle con età inferiore a 30 anni per il 70%,
Va ricordato, però, che in molte realtà tra quelle in cui è stato fatto il questionario, la Polizia Municipale è gia armata il che ovviamente incide sulle risposte.
Su tale argomento il 66% delle risposte ci dicono che la valutazione di uomini e donne è uguale.
Per quanto attiene l’integrità morale ed il rispetto delle leggi il 73% delle donne sostiene che non vi sono differenze tra i due sessi anche se scorporando i dati di coloro che hanno un’anzianità di servizio superiore a 10 anni una valutazione di maggiore onestà delle donne viene espressa dal 44% dei questionari.
Vogliamo pensare che questa ultima differenza sia dovuta principalmente ad un diffuso aumento della qualità degli operatori, ad una maggiore consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo nelle condizioni di vita di tutti i cittadini e, non ultimo, a condizioni economiche e di lavoro migliorate anche grazie ai CCNL.