Il mobbing. Che cos’è, come si combatte
Quando i "capi" ti mettono alle corde

Si chiama "mobbing" e si traduce "terrore psicologico sul posto di lavoro". E’ una nuova malattia, ma non è un virus o un materiale nocivo: è una situazione di pressione psicologica esercitata da superiori, colleghi o sottoposti verso uno o più lavoratori.

Nel concreto si tratta di piccoli ma ripetuti attacchi personali, di varie forme di ostilità, isolamento sabotaggio, atti di disturbo perpetrati con regolarità periodica, settimanale o mensile, fino ad arrivare anche all’abuso sessuale. Sono la sistematicità e la durata nel tempo a distinguere il "mobbing" da un qualsiasi conflitto sul lavoro.

Il "mobbing", quindi, è una sorta di persecuzione strisciante sul luogo di lavoro, magari poco evidente, ma non certo meno pericolosa per la salute di chi viene preso di mira. Si crea, infatti, una sorta di conflitto permanente che – nella gran parte dei casi rilevati – determina disagi di tipo psicofisico, insonnia, incubi, apatia, depressione, frustrazioni, ansie e attacchi di panico, con una tendenza al progressivo aggravamento di questi fenomeni che può determinare gravi danni alla salute.

Il "mobbing" si verifica in diverse fasi, creando spesso complicità tra colleghi che isolano la vittima, e trasformando il lavoratore anche più efficiente in una persona terrorizzata, che finisce per commette errori e assentarsi spesso per "malattia". Chiunque, operando in un ambiente ostile e in condizioni non idonee a raggiungere risultati sul lavoro per il sabotaggio di colleghi o superiori, è a rischio "mobbing".

Il fenomeno è molto più ampio di quando viene denunciato e, soprattutto, rappresenta un problema relativamente nuovo, anche in Italia.

Si può pensare, infatti, che si tratti di un costume o di atteggiamenti che sono sempre esistiti. Vengono in mente le discriminazioni politiche o sindacali degli anni Cinquanta nelle grandi fabbriche o le forme di violenza psicologica della malavita organizzata; ma nella realtà attuale del mondo del lavoro il "mobbing" rappresenta un fenomeno recente.

Negli ultimi anni – in particolare in Europa, e da poco anche in Italia – sta crescendo l’interesse su questo problema, che attiene sia al tema della qualità del lavoro che alla tutela della salute dei lavoratori. Le ultime ricerche stimano in oltre un milione il numero di lavoratori e lavoratrici coinvolti in Italia, circa il 6 per cento della popolazione attiva.

In Svezia e in Germania i sindacati stanno adottando strategie di prevenzione contro la diffusione di questo fenomeno. Nel nostro Paese ci sono esperienze di ricerca ancora agli inizi ma sia il sindacato sia alcune associazioni sono già sensibili e mobilitate. Forse è arrivato il momento di parlarne di più.

Il rischio presente nel nostro Paese è una possibile e rapida diffusione del "mobbing" dovuta alla presenza di due caratteristiche peculiari del mondo del lavoro e della società: l’esistenza di rapporti di lavoro dove il superiore esercita un forte potere psicologico sul dipendente, e l’erosione di una rete di coesione sociale fondamentale per la tenuta dei valori di solidarietà anche negli uffici e nelle fabbriche.

Negli ultimi tempi il sindacato sta intensificando gli sforzi, con indagini dirette a favorire l’emersione del fenomeno, con una maggiore informazione e formazione per farlo conoscere, responsabilizzando i delegati sindacali nelle aziende, attrezzandoli a capirlo e a saperlo affrontare.

Il passo successivo è il riconoscimento del "mobbing" anche dal punto di vista normativo sia nella legislazione di tutela della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro sia attraverso la sua considerazione nei contratti nazionali nelle parti relative all’organizzazione dei cicli operativi.

Dare qualità al lavoro, valorizzando le risorse umane, rappresenta infatti sempre di più lo scenario in cui si collocano le nuove politiche del lavoro.