Maternità – prestazioni economiche – chiarimenti INPS - CIRCOLARE N. 8 del 17.01.2003
OGGETTO: Prestazioni economiche di maternità di cui al D. Lgs. n. 151
del 26/03/2001 (T. U. sulla maternità). Chiarimenti.
INPS
CIRCOLARE N. 8 del 17.01.2003
SOMMARIO: 1. La situazione di "genitore solo" è riscontrabile anche nel caso di non riconoscimento del figlio da parte dell’altro genitore. 2. Il padre non ha diritto ai riposi giornalieri (c.d. per allattamento) se la madre non è lavoratrice. 3. Distinzione tra "affidamento" e "inserimento" dei minori ai fini delle prestazioni economiche di maternità e di paternità. 4. La domanda di flessibilità è accoglibile anche se presentata oltre il 7° mese di gravidanza, purché le previste attestazioni del medico specialista siano state acquisite dalla lavoratrice nel corso del 7° mese di gravidanza. 5. La malattia insorta durante il congedo parentale o dopo la fine dello stesso è indennizzabile secondo le regole ordinarie. La malattia insorta durante il congedo di maternità non è indennizzabile. I periodi di malattia che si verifichino durante il congedo parentale vanno considerati neutri ai fini del complessivo periodo di congedo parentale spettante. 6. Carattere ordinatorio del termine di 30 giorni previsto per la presentazione del certificato di nascita o dichiarazione sostitutiva. 7. L’indennità per congedo parentale è erogabile, in caso di adozione e affidamento, entro 3 anni dall’ingresso in famiglia del minore. 8. La norma secondo cui, in caso di parto gemellare o plurigemellare, ciascun genitore ha diritto a fruire del congedo parentale, per ogni nato, è applicabile anche in caso di adozioni/affidamenti plurimi. 9. Non è richiesta la verifica della convalida delle dimissioni volontarie, ai fini della corresponsione dell’ indennità di maternità/paternità. 10. Il congedo di paternità con indennità all’80 % spetta anche quando la madre, nelle ipotesi di cui all’art. 28 del T.U., non sia (o non sia stata) una lavoratrice. 11. Retribuzione di riferimento ai fini della determinazione dell’indennità per congedi parentali. 12. Il licenziamento per giusta causa intervenuto durante il congedo per maternità non esclude l’indennizzabilità del congedo stesso. 13. Requisito dei 26 contributi settimanali in mancanza di assicurazione contro la disoccupazione.
Con la circ. n. 109 del 6.6.2000
sono state date disposizioni attuative della legge n. 53 del 8 marzo 2000 in
materia di maternità, con particolare riguardo alla astensione facoltativa, ai
riposi orari, e alla astensione obbligatoria (flessibilità, parto prematuro,
astensione del padre con indennità all’80%). Com’è noto, successivamente
alla legge 53/2000, al fine di conferire omogeneità e sistematicità alle norme
in materia di sostegno della maternità e della paternità, come previsto
dall’art. 15 della stessa legge, è stato emanato il D. Lgs. 26.3.2001, n. 151
("Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e
sostegno della maternità e della paternità"….), entrato in vigore il
27.4.2001.
Con la presente si forniscono ulteriori precisazioni
sull’argomento (per quanto riguarda le lavoratrici autonome si rinvia alla
circ. n. 136 del 26.7.2002).
1) "Genitore solo"
Ai sensi dell’art. 32, comma 1, lettere a) e b)
del T.U., la madre lavoratrice ed il padre lavoratore hanno diritto al godimento
di un periodo individuale massimo di congedo parentale (astensione facoltativa)
pari, rispettivamente, a 6 mesi e a 7 mesi. Ai sensi della lett. c) del medesimo
comma "qualora vi sia un solo genitore" il periodo è elevato fino a
un massimo di 10 mesi.
La situazione di "genitore solo" è
riscontrabile, oltre che nei casi di morte dell’altro genitore o di abbandono
del figlio o di affidamento esclusivo del figlio ad un solo genitore (casi già
indicati nella circ. 109 citata), anche nel caso di non riconoscimento del
figlio da parte di un genitore.
Nell’ipotesi di non riconoscimento del figlio da parte del
padre, la madre richiedente il maggior periodo di congedo parentale, dovrà
rilasciarne apposita dichiarazione di responsabilità; e ciò, anche qualora
dalla certificazione anagrafica risulti che il cognome del bambino è quello
della madre. Una analoga dichiarazione dovrà essere fornita dal padre
richiedente in caso di non riconoscimento del figlio da parte della madre.
La situazione di "ragazza madre" o di
"genitore single" non realizza di per sé la condizione di
"genitore solo": deve infatti risultare anche il non riconoscimento
dell’altro genitore. Analogamente dicasi per la situazione di genitore
separato: nella sentenza di separazione deve risultare che il figlio è affidato
ad uno solo dei genitori.
Si sottolinea, peraltro, che gli ulteriori mesi
riconoscibili al "genitore solo" sono indennizzabili subordinatamente
alle condizioni del proprio reddito, anche qualora siano fruiti entro tre anni
di età del figlio.
La situazione di "genitore solo" viene meno
con il riconoscimento del figlio da parte dell’altro genitore, circostanza
che, si rammenta, deve essere portata a conoscenza sia dell’INPS che del
datore di lavoro. E’ ovvio che il riconoscimento interrompe la fruizione del
maggior periodo di congedo parentale concesso al genitore inizialmente
considerato "solo" ed è ovvio, altresì, che il maggior periodo di
congedo, già fruito in tale qualità, determina la riduzione del periodo di
congedo spettante all’altro. In proposito si rammenta che il periodo di
congedo fruibile tra i due genitori è, in via ordinaria, di 10 mesi e che
l’elevazione a 7 mesi a favore del padre (con conseguente totale, tra i due,
di un massimo di 11 mesi) è prevista solo nel caso in cui il padre abbia già
fruito di un periodo di congedo non inferiore a 3 mesi: tanto comporta, ad
esempio, che se la madre abbia goduto, come "genitore solo" (quale era
da considerare fino al riconoscimento del figlio da parte del padre) di un
periodo di 8 mesi, il padre non potrà mai arrivare ad un periodo di tre mesi di
congedo (1).
2) Riposi giornalieri (c.d. per allattamento).
A chiarimento di quanto disposto nella circ.
109/2000, si conferma che la madre ha diritto ai riposi giornalieri di cui
all’art. 10 della legge 1204/71 (ora art. 39 del T.U.) durante il congedo
parentale del padre.
Non è, invece, possibile che il padre utilizzi i
riposi di cui all’art. 13 della legge 53/2000 (ora art. 40 del T.U.) durante
il congedo di maternità e/o parentale della madre, come pure nei casi in cui la
madre non si avvale dei riposi in quanto assente dal lavoro per cause che
determinano una sospensione del rapporto di lavoro (es.: aspettative o permessi
non retribuiti, pause lavorative previste nei contratti a part-time verticale di
tipo settimanale, mensile, annuale).
Si ricorda che in caso di parto plurimo, invece, le ore
aggiuntive di cui all’art. 41 del T.U. possono essere utilizzate dal padre
anche durante il congedo di maternità parentale della madre lavoratrice
dipendente.
Se la madre è lavoratrice autonoma (artigiana,
commerciante, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola,
parasubordinata, libera professionista), il padre può fruire dei riposi dal
giorno successivo a quello finale del periodo di trattamento economico spettante
alla madre dopo il parto e sempre che la madre (qualora si tratti di
commerciante, artigiana, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola)
non abbia chiesto di fruire ininterrottamente, dopo il suddetto periodo, del
congedo parentale, durante il quale, come sopra detto, è precluso al padre il
godimento dei riposi giornalieri.
Se la madre non è lavoratrice, il padre lavoratore non
ha diritto ai riposi giornalieri per allattamento. Non ha diritto, come pure se
la madre è una lavoratrice autonoma, neanche alle ore che il citato art. 41
riconosce al padre, in caso di parto plurimo, come "aggiuntive"
rispetto alle ore previste dall’art. 39 (vale a dire quelle fruibili dalla
madre), per l’evidente impossibilità di "aggiungere" ore quando la
madre non ha diritto ai riposi giornalieri.
Il diritto del padre ai riposi in questione, infatti,
continua ad essere "derivato" da quello della madre, a differenza del
diritto del padre al congedo parentale che, in virtù delle più recenti
disposizioni di legge, ha acquistato una propria autonomia e indipendenza
rispetto alla sussistenza o meno del diritto della madre.
Un diritto "autonomo" del padre ai riposi
giornalieri è previsto solo nelle ipotesi di cui alle lettere a), c), d)
dell’art. 40 del T.U..
3) Affidamento e inserimento dei minori.
La distinzione tra "affidamento" e
"inserimento" dei minori, rilevabile dall’art. 2, comma 2, della
legge 149 del 28.3.2001, è da tenere presente non solo ai fini delle
provvidenze previste in favore dei genitori di disabili gravi (v. circ. 138 del
10.7.2001, par. 1, 11° e 12° cpv.), ma anche ai fini delle prestazioni
economiche di maternità e di paternità.
Pertanto, l’inserimento del minore in "comunità
di tipo familiare" non è equiparabile all’ affidamento.
4) Flessibilità del congedo di maternità.
La circ. 109/2000, contenente le prime istruzioni
applicative in materia di flessibilità del congedo di maternità (già art. 12
della legge 53/2000, ora art. 20 del D. Lgs. 151/2001), è stata integrata dalle
disposizioni della circ. 152 del 4.9.2000, sulla quale si forniscono alcuni
chiarimenti.
La domanda di flessibilità, tendente ad ottenere
l’autorizzazione a continuare l’attività lavorativa durante l’ottavo mese
di gravidanza (in tutto o in parte), ferma restando la durata complessiva del
congedo di maternità, è accoglibile anche qualora sia presentata oltre il 7°
mese di gravidanza (peraltro, sempre entro il limite della prescrizione annuale,
decorrente dal giorno successivo al periodo di congedo dopo il parto che, in
questi casi, risulta superiore ai normali 3 mesi), purché le previste
attestazioni del ginecologo del S.S.N. o con esso convenzionato e del medico
aziendale, siano state acquisite dalla lavoratrice nel corso del 7° mese di
gravidanza.
Quanto precede nel presupposto che la lavoratrice abbia
continuato a lavorare nel periodo in questione.
Se le attestazioni suddette sono state acquisite dopo
il 7° mese di gravidanza, la domanda è accoglibile solo per l’eventuale
residuo di giorni decorrenti dal rilascio delle attestazioni.
Per i giorni in cui la lavoratrice si è avvalsa della
flessibilità senza esserne formalmente autorizzata (attraverso le attestazioni
dei medici sopra indicati), l’indennità di maternità non è erogabile ai
sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 138/1943 in quanto, per tali
giorni, la lavoratrice ha percepito o ha diritto a percepire la retribuzione dal
datore di lavoro; i suddetti giorni, pur non potendo essere recuperati dalla
lavoratrice dopo il parto, quali giorni di congedo per maternità, devono essere
comunque conteggiati ai fini della durata complessiva del congedo stesso.
Si precisa, infine, che la domanda della lavoratrice
che, pur essendo stata autorizzata alla flessibilità, e, quindi, allo
svolgimento di attività lavorativa durante l’ottavo mese di gravidanza,
chiede di fruire in questo stesso mese del congedo parentale per un altro
figlio, può essere accolta. In ogni caso, il congedo di maternità spetterà
alla suddetta lavoratrice per tutta la sua prevista durata complessiva (2).
5) Malattia, congedo parentale, congedo di maternità.
a) Malattia e congedo parentale.
In merito alla sussistenza o meno del diritto
all’indennità di malattia nell’ipotesi di malattia insorta durante il
congedo parentale o dopo la conclusione dello stesso si fa presente quanto
segue.
L’assenza dal lavoro per cause (come il congedo
parentale) legate non ad una "sospensione" del rapporto di lavoro ma
ad una semplice inesigibilità della relativa prestazione lavorativa non
configura, agli effetti erogativi della indennità di malattia, una sospensione
del rapporto di lavoro.
Tanto comporta che il periodo di protezione assicurativa (60
gg. o 2 mesi), previsto per le prestazioni di malattia dall’art. 30 del C.C.N.
3.1.1939, decorre dal giorno immediatamente successivo al termine finale del
periodo di assenza dal lavoro correlato ad una delle cause di cui trattasi.
Ne consegue che per la malattia della lavoratrice madre (o
del lavoratore padre) insorta durante la fruizione del congedo parentale, anche
oltre 60 gg. dall’inizio del congedo stesso (che, come è noto, è
frazionabile), il periodo di protezione assicurativa non inizia a decorrere e la
malattia stessa, debitamente notificata e documentata, deve essere indennizzata
(in misura intera), ove ne ricorrano i presupposti, secondo i limiti e le
modalità previsti dalla relativa normativa, ovviamente nella presunzione, salvo
diversa indicazione del genitore interessato, che quest’ultimo intenda
sospendere la fruizione del congedo parentale.
Per la malattia della lavoratrice madre (o del
lavoratore padre) insorta dopo la conclusione del periodo di congedo parentale,
a cui faccia seguito una mancata ripresa dell’attività, configurabile quale
"sospensione del rapporto di lavoro", il periodo di protezione
assicurativa decorre, secondo le regole ordinarie, dal giorno successivo alla
fine del congedo parentale, da considerare periodo neutro.
Per quanto riguarda il diritto al congedo parentale, si
precisa che anche i periodi di malattia indennizzati o indennizzabili, che si
verifichino durante il congedo parentale, devono essere considerati neutri ai
fini del complessivo periodo di congedo parentale spettante.
Terminata la malattia, quindi, la fruizione del congedo
parentale, salvo diverse indicazioni e comunicazioni del genitore interessato,
può riprendere con o senza erogazione dell’indennità del 30% che, com’è
noto, compete per complessivi 6 mesi entro 3 anni di età del bambino.
Ai fini del calcolo del periodo massimo di congedo
parentale (6 mesi per la madre, 7 mesi per il padre, 11 mesi fra i due
genitori), durante il quale si siano verificati periodi di malattia, vanno
tenute presenti le indicazioni fornite per i casi in cui frazioni di congedo
siano intervallate da ferie (v. circ. n. 82 del 2.4.2001, punto 1, ultimo
capoverso).
Pertanto, ad esempio, se la malattia è iniziata il
lunedì immediatamente successivo al venerdì del congedo parentale, ed è
terminata il venerdì immediatamente precedente il lunedì in cui è ripreso il
congedo, le domeniche ed i sabati della settimana corta, cadenti subito prima e
subito dopo la malattia, devono essere conteggiati come giorni di congedo
parentale.
b) Malattia e congedo di maternità
La malattia insorta durante il congedo di maternità
(astensione obbligatoria) non è indennizzabile, in quanto l’indennità per
congedo di maternità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per
malattia (art. 22, comma 2, del T.U.).
Anche il congedo di maternità – analogamente a
quello parentale (v. lett. a)- è da considerare periodo "neutro" ai
fini del computo della c.d. "protezione assicurativa", in caso di
malattia insorta successivamente.
6) Termini per la presentazione della documentazione.
L’art. 21 del T.U. stabilisce che la lavoratrice
è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato di nascita del
figlio o dichiarazione sostitutiva (ex lege 445/2000).
Tale articolo assorbe la disposizione già contenuta
nell’art. 11 della legge 53/2000 relativa alla presentazione, entro 30 giorni,
del certificato attestante la data del parto in caso di parto prematuro, nel
senso che il termine di trenta giorni per la presentazione della suddetta
documentazione è ora previsto in tutti i casi di parto (anche non prematuro).
Ciò premesso, si fa presente che il termine in questione è da ritenere di
carattere ordinatorio, non essendone stata prevista la perentorietà, né
l’applicazione di sanzioni in caso di sua inosservanza.
Il mancato rispetto del termine, quindi, non fa venire meno
il diritto alla prestazione; potrebbe avere riflessi soltanto nell’ambito
contrattuale del rapporto di lavoro.
7) Congedo parentale in caso di adozione o di affidamento.
Si ritiene opportuno riassumere i criteri
applicativi delle disposizioni del T.U., che, peraltro, confermano quasi
integralmente quelli già indicati nella circ. 109/2000, riguardanti il congedo
parentale in caso di adozione o di affidamento.
L’art.36, comma 2, del T.U. stabilisce che il limite
di età del bambino (3 anni) previsto dall’art. 34, comma 1, per la
corresponsione dell’indennità al 30%, indipendentemente dalle condizioni di
reddito e per un periodo di congedo parentale massimo complessivo tra i genitori
di sei mesi, sia elevato a 6 anni di età in caso di adozione o di affidamento.
Stabilisce anche che, in ogni caso, il congedo parentale può essere fruito nei
primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia.
Ciò significa che l’indennità è riconoscibile,
indipendentemente dalle condizioni di reddito, per complessivi sei mesi fino al
compimento dei 6 anni di età del bambino adottato o affidato, purché il
congedo parentale sia richiesto entro i tre anni dall’ingresso del bambino in
famiglia.
Significa anche che, dopo il compimento dei 6 anni di
età e fino al compimento degli 8 anni (limite di età uguale a quello previsto
per i figli non adottati o affidati), i periodi di congedo ulteriori rispetto a
quelli fruiti fino ai 6 anni, ferma restando la possibilità di astensione dal
lavoro, sono indennizzabili subordinatamente alle condizioni reddituali.
Il comma 3 dello stesso art. 36 stabilisce che, qualora
all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore abbia una età
compresa fra i 6 e i 12 anni, il congedo parentale è fruito nei primi tre anni
dall’ingresso in famiglia. Il tenore letterale della norma lascia intendere
che, per il minore adottato o affidato ad una età fra i 6 e i 12 anni, il
congedo parentale e la relativa indennità possano essere riconosciuti solo se
richiesti entro tre anni dall’ingresso.
Non sembra prevista, in altre parole, la possibilità
di beneficiare né del congedo, né della indennità, neppure subordinatamente
alle condizioni di reddito, qualora il congedo sia chiesto dopo tre anni
dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato tra i 6 e i 12 anni
di età.
In caso di adozione o di affidamento preadottivo
internazionale si applica la disposizione prevista
dall’art. 36 del T.U..
8) Congedo parentale in caso di parto gemellare o
plurigemellare
Come già precisato nel messaggio n. 569 del
27/06/2001, che ad ogni buon conto si allega, in caso di parto gemellare o
plurigemellare, ciascun genitore ha diritto a fruire, per ogni nato, del numero
di mesi di congedo parentale previsti dall’art. 32 del T.U..
La norma suddetta trova applicazione anche
nell’ipotesi di adozioni ed affidamenti di minori (anche non fratelli) il cui
ingresso in famiglia sia avvenuto nella stessa data.
9) Dimissioni
L’art. 55 del T.U. stabilisce che le dimissioni
volontarie presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza o dal
lavoratore che abbia fruito del congedo di paternità, fino al compimento di un
anno di vita del bambino o entro un anno dall’ingresso del minore in famiglia,
devono essere convalidate dal Servizio ispettivo del Ministero del Lavoro,
competente per territorio.
La previsione della convalida risponde unicamente a
finalità di tutela del rapporto di lavoro della lavoratrice madre o del
lavoratore padre.
La legge, infatti, subordina espressamente alla
convalida la risoluzione del rapporto di lavoro e non anche il diritto
all’indennità di maternità/paternità, alla cui corresponsione si potrà
procedere indipendentemente dalla verifica della convalida suddetta.
Con l’occasione si fa presente che detta verifica non
è richiesta neppure ai fini del riconoscimento del diritto all’indennità di
disoccupazione che, com’è noto, spetta anche in caso di dimissioni volontarie
intervenute durante il periodo previsto per il divieto di licenziamento o entro
un anno dall’ingresso del minore nella famiglia adottante o affidataria (v.
circ. 128 del 5.7.2000 e circ. 143 del 16.7.2001), indennità di disoccupazione
che frequentemente costituisce il presupposto per la erogabilità
dell’indennità per congedo di maternità.
Infatti, se il congedo di maternità ha inizio
trascorsi 60 giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice,
all’inizio del congedo di maternità, fruisce o ha comunque un diritto teorico
all’indennità di disoccupazione, alla stessa è erogabile l’indennità
giornaliera di maternità, anziché quella di disoccupazione (art. 24, comma 4
del T.U.).
Si rammenta, ad ogni buon conto, che il diritto o meno
all’indennità di disoccupazione è ininfluente quando il congedo di maternità
inizia entro 60 giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro (per dimissioni
o licenziamento), periodo entro il quale è senz’altro riconoscibile il
diritto all’ indennità giornaliera di maternità (art. 24, comma 2 del T.U.).
10) Indennità di paternità
L’art. 28 del T.U. riconosce al padre lavoratore
il diritto al congedo di paternità per tutta la durata del congedo di maternità
o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice madre, in caso di
morte o di grave infermità della stessa ovvero di abbandono del figlio da parte
della madre, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.
Il tenore letterale della norma sembrerebbe escludere
il diritto del padre al congedo in questione nell’ipotesi in cui la madre non
sia (o non sia stata) lavoratrice.
Tuttavia, la "ratio" dell’astensione
obbligatoria post- partum vuole garantire al neonato, proprio nei primi tre mesi
di vita, l’assistenza materiale ed affettiva di un genitore (vedi sent. Corte
Costituzionale n.1 del 19.1.1987).
Qualora, infatti, la richiesta del padre di fruire del
congedo di paternità venisse riconosciuta solo subordinatamente al fatto che la
madre sia o (sia stata) una lavoratrice, non solo si arrecherebbe un danno al
neonato, ma ciò risulterebbe in contrasto con l’ordinanza n. 144 del
16/4/1987 con cui la Corte Costituzionale ha stabilito a proposito della
suddetta sentenza n. 1/1987: "in luogo di lavoratrice madre leggasi madre,
lavoratrice o meno".
Per tali ragioni, è da ritenere che, in tutti i casi
previsti dall’art. 28 del T.U., il padre lavoratore abbia un diritto autonomo
alla fruizione del congedo di paternità, correlato, quanto alla sola durata,
alla eventuale fruizione del congedo di maternità da parte della madre
(ovviamente lavoratrice). In tale ipotesi, la durata del congedo di paternità
è pari al periodo di astensione obbligatoria non fruito in tutto o in parte
dalla madre, compresi quindi i periodi di astensione obbligatoria post-partum di
maggiore durata conseguenti alla flessibilità e/o al parto prematuro.
11) Calcolo dell’indennità per congedi parentali.
Agli effetti della determinazione della misura
dell’indennità per congedo parentale si prende a riferimento la retribuzione
media globale giornaliera del mese o del periodo di paga quadrisettimanale
immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio
l’astensione dal lavoro.
Tuttavia, nell’ipotesi in cui la lavoratrice fruisca
del congedo parentale immediatamente dopo il congedo di maternità (ipotesi
praticabile anche senza ripresa dell’attività lavorativa prima del congedo
parentale), la retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo
dell’indennità per congedo parentale è quella del periodo mensile o
quadrisettimanale scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del
quale ha avuto inizio il congedo di maternità (senza conteggiare i ratei di
mensilità aggiuntive).
Laddove, invece, dopo il congedo di maternità, la
lavoratrice riprenda l’attività lavorativa (anche per un solo giorno), si
prende a riferimento, trattandosi di prestazioni diverse, la retribuzione
relativa a tale periodo di ripresa dell’attività, ancorché questo cada nello
stesso mese in cui ha avuto inizio il congedo parentale.
In caso di fruizione frazionata del congedo parentale,
invece, si prende a riferimento la retribuzione del mese precedente, nonostante
le frazioni siano intervallate da giorni di ripresa dell’attività.
Ovviamente la retribuzione va divisa per il numero dei
giorni lavorati o retribuiti, eventualmente ridimensionati in caso di
"settimana corta".
12) Sentenza della Corte Costituzionale n. 405/2001.
Si rende noto che, con la sentenza n. 405 del 3-14
dicembre 2001, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 17, 1° comma, della legge 1204/71 nella parte in cui
esclude la corresponsione della indennità di maternità nell’ipotesi prevista
dall’art. 2, lett. a) della medesima legge (vigente all’epoca del
procedimento instaurato davanti alla Corte).
Ha altresì dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 24, comma 1, del D. Lgs. 151/2001, nella parte in cui
esclude la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi
prevista dall’art. 54, comma 3, lett. a) del medesimo decreto legislativo.
In attuazione della suddetta sentenza, pertanto, il
diritto alla indennità di maternità potrà essere riconosciuto anche nei casi
di licenziamento per giusta causa che si verifichino durante i periodi di
congedo di maternità previsti dagli artt. 16 e 17 del T.U..
La presente disposizione è applicabile alle
fattispecie pregresse per le quali non sia intervenuta prescrizione, decadenza o
sentenza passata in giudicato.
13) Requisito contributivo in mancanza di assicurazione
contro la disoccupazione.
Il comma 5 dell’art. 24 del T.U. recita
testualmente: "La lavoratrice, che si trova nelle condizioni indicate nel
comma 4, ma che non è in godimento della indennità di disoccupazione perché
nell’ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non
soggette all’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione, ha diritto
all’indennità giornaliera di maternità, purché al momento dell’inizio del
congedo di maternità non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla
risoluzione del rapporto di lavoro e, nell’ultimo biennio che precede il
suddetto periodo, risultino a suo favore, nell’assicurazione obbligatoria per
le indennità di maternità, ventisei contributi settimanali. ".
Ciò, a differenza dell’art. 17 comma 4 della legge
1204/1971 (non più in vigore) che prevedeva per la lavoratrice nelle medesime
condizioni di cui al suddetto comma 5 dell’art. 24 ora vigente, il possesso di
26 contributi settimanali nell’assicurazione di malattia.
Com’è noto, infatti, la norma della legge 1204 era
già divenuta non più attuale, essendo venuto meno, dal 1/1/1998, l’obbligo
di versamento all’INPS (Ente subentrato agli Enti assicuratori di malattia)
dei contributi di malattia per il S.S.N..
Le Sedi, pertanto, dovranno ricercare il requisito di
cui trattasi (26 contributi settimanali nell’ultimo biennio, sempre che non
siano trascorsi più di centottanta giorni dalla cessazione del rapporto di
lavoro), nell’ambito della sola contribuzione di maternità.
Eventuali domande per congedo di maternità avanzate da
lavoratrici che siano state licenziate, ma che non abbiano diritto alla indennità
di disoccupazione, in quanto non soggette all’obbligo assicurativo per la
disoccupazione, potranno essere accolte, quindi, subordinatamente alla verifica
del suddetto requisito.
___________________________________________
Note
(1) Esempio:
Congedo parentale già fruito come "genitore solo" |
Congedo parentale fruibile dall’altro genitore che successivamente ha riconosciuto il figlio: |
MADRE |
PADRE |
4 mesi |
7 mesi |
5 mesi |
6 mesi |
6 mesi |
5 mesi |
6 mesi e 10 giorni |
4 mesi e 20 giorni |
7 mesi |
4 mesi |
8 mesi |
2 mesi |
9 mesi |
1 mese |
10 mesi |
zero |
|
|
PADRE |
MADRE |
4 mesi |
6 mesi |
5 mesi |
6 mesi |
6 mesi |
5 mesi |
7 mesi |
4 mesi |
7 mesi e 10 giorni |
3 mesi e 20 giorni |
8 mesi |
3 mesi |
9 mesi |
2 mesi |
10 mesi |
1 mese |
(2) Si riportano a titolo esemplificativo alcuni casi, in cui l’inizio dell’obbligo di astenersi dal lavoro sia fissato al 1° 11. 2002. Negli esempi si ipotizza che il periodo di flessibilità richiesto sia pari al massimo (e cioè corrispondente al mese di novembre 2002) e che non si verifichino eventuali prolungamenti del periodo di astensione post partum dovuti a "parto prematuro":
Attestazioni sanitarie rilasciate (datate) |
Riconoscibilità della prestazione |
a) prima del 7° mese di gravidanza (prima cioè del 1° ottobre) |
non riconoscibilità |
b) nel corso del 7° mese di gravidanza (e cioè tra il 1° ottobre e 1° novembre 2002) |
riconoscibilità fino al termine del quarto mese dopo il parto |
c) 11 novembre (nel corso dell’8° mese di gravidanza) |
riconoscibilità dall’11 novembre e fino al 20° giorno del quarto mese dopo il parto |
d) successivamente al 1° dicembre (dopo l’8° mese di gravidanza) |
riconoscibilità solo per il mese precedente la data presunta del parto e per tre mesi successivi al parto |
Allegato 1
MESSAGGIO n. p. 2001/0005/000569 del 27 giugno 2001
DIREZIONE CENTRALE
PRESTAZIONI A SOSTEGNO
DEL REDDITO
OGGETTO: Ulteriori periodi di congedo parentale in caso di parto gemellare o plurigemellare.
Il D. Lgs. n. 151 del 26.3.2001
contenente il T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela della
maternità e della paternità (inviato a codeste Sedi, per una immediata
conoscenza con il Msg. n. 485 del 1.6.2001), stabilisce, all’art. 32, che
ciascun genitore ha diritto al congedo parentale per ogni bambino, nei suoi
primi otto anni di vita.
Di conseguenza, in caso di parto gemellare o
plurigemellare ciascun genitore ha diritto a fruire per ogni nato del numero di
mesi di congedo parentale previsti dallo stesso art. 32 (in sintesi, per ciascun
figlio, fino a 6 mesi per la madre, fino a 7 mesi per il padre, nel limite
complessivo di 10 o 11 mesi fra entrambi i genitori).
Le modalità di fruizione dei periodi ed i criteri
relativi al trattamento economico restano, quindi, quelli stabiliti in
applicazione della legge 53/2000 e riportati nella circ. 109 del 6.6.2000.
Il genitore che intenda avvalersi di ulteriori periodi
di congedo parentale per la presenza di due o più figli gemelli dovrà
presentare separate domande sul nuovo Mod. AST. FAC. (v. circ. n. 103 del
11.5.2001), predisposto per l’acquisizione delle informazioni necessarie al
completo esame delle domande.
Con l’occasione si precisa che per il parto plurimo
non è previsto, invece, il diritto ad ulteriori periodi di congedo di maternità
(astensione obbligatoria).