E' "giusta causa" di recesso l’offesa da parte del superiore

Il dipendente insultato ha diritto di dimettersi

(Cassazione 12903/99)

Costituisce giusta causa di recesso dal rapporto di lavoro dimettersi a causa delle espressioni poco rispettose ricevute da un proprio superiore. La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione accoglie il ricorso di un dipendente (con qualifica di dirigente) di una società di elettronica che si era dimesso dopo essere stato offeso dal capo del personale, suo superiore - con espressioni del tipo "faccia di bronzo" e "verme" – per aver rifiutato un incarico propostogli. Il Tribunale di Torino aveva negato al lavoratore il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso ed al T.F.R., ritenendo che il linguaggio del dirigente superiore fosse "forse eccessivamente colorito ma non insultante". La Suprema Corte rileva invece il carattere "ingiurioso" delle espressioni dirette al subordinato, rese ancora più "cocenti" e "sgradevoli" dalle offese personali. Secondo i Supremi Giudici non è corretto valutare il tenore offensivo di una espressione ricorrendo semplicemente ad un dizionario (peraltro consultato solo parzialmente) ma occorre invece "verificare il significato e soprattutto l’effetto negativo che l’espressione veniva ad assumere nel contesto di una reprimenda da parte di un dirigente al massimo livello nei riguardi di un dirigente a livello inferiore, quando non risulta che tra i due vi fosse una speciale confidenza o comunanza atta a giustificare un linguaggio meno formale". (16 dicembre 1999)


Sentenza della Sezione Lavoro n. 12903/99 depositata il 19/11/1999.

La Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro

(…)

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto:

Di Nunzio Egidio, elettivamente domiciliata in ROMA, Viale Angelico n. 35, presso lo studio dell’avvocatoDomenico D’Amati, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

-ricorrente-

contro

la Società AMT Robotics Srl, in persona dell’amministratore delegato Ing, Fabrizio Imperlino elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Antonelli 47, presso lo studio dell’avvocato Francesco Carbonetti che,che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Fabrizio Arossa e Sandra Perlilli giusta delega in atti.

-contro ricorrente e ricorrente incidentale-

avverso la sentenza resa dal Tribunale di Torino nel procedimento 455/94 R.G., n. 2131 decisa il 17 aprile e pubblicata il 27 maggio 1996;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 giugno 1999 dal RelatoreCons. Dott. Alberto Spanò;

uditi gli avvocati Giovanni Villani per il ricorrente e Francesco Carbonetti per il resistente;

udito il P.M. che, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio Buonaiuto, ha concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 29 agosto 1992 Di Nunzio Egidio conveniva dinanzi al Pretore di Torino la Società AMT ROBOTICS S.r.l., presso la quale aveva prestato servizio come dirigente, al fine di sentir riconoscere l'esistenza di una giusta causa nelle dimissioni rassegnate il 17 marzo 1992, con ogni conseguenza in ordine al diritto all'indennità sostitutivadel preavviso. Chiedeva altresì la condanna della convenuta alla corresponsione del TFR e dell'indennità per ferie non godute.

La convenuta contestava il fondamento della pretesa avversaria e dichiarava di aver compensato fino a concorrenza il debito per trattamento fine rapporto e ferie non godute, peraltro in misura ben ridotta rispetto a quanto richiesto, con il credito per mancato preavviso e stipendi erogati dopo la data delle dimissioni, rimanendo così creditrice del residuo pari a lire 6.693.237, per il cui pagamento spiegava domanda riconvenzionale.

Con sentenza in data 11 - 25 febbraio 1994, il Pretore respingeva la domanda proposta dal DiNunzio e, in accoglimento della riconvenzionale, condannava il medesimo al pagamento dell'importo richiesto dalla Società AMT ROBOTIC S.r.l..

A seguito di appello proposto dal Di Nunzio il Tribunale di Torino, con sentenza n. 2131 emessa in data 17 aprile - 27 maggio 1996, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda del suddetto, relativa al pagamento della somma di lire 29.347.088 a titolo di ferie non godute.

Respingeva per il resto il gravame.

Propone ricorso per cassazione il Di Nunzio e deduce tre motivi.

Resiste con contro ricorso la Società AMT ROBOTICS S.r.l. e propone ricorso incidentale con un solo motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi, principale ed incidentale, vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell'art. 335C.P.C.

Col primo mezzo del ricorso principale si denuncia la violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c.,la falsa applicazione dell'art.2119 c.c.l'omessa e/o insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia ai sensi dell'art. 350 n. 5;cpc.,

Si afferma che nel ricorso erano stati indicati quali elementi costitutivi della fattispecie complessa da valutarsi come giusta causa, numerosi fatti e da ultimo un episodio di ingiurie plateali verificatosi il 16 marzo 1992, ancor ché da solo sufficiente a integrare gli estremi voluti all'art. 2119. Si osserva che il Tribunale, dopo aver escluso l'idoneità dei fatti precedenti, ha limitato la sua indagine all’episodio del 16 marzo 1992, così pronunciandosi solo su di una parte della domanda e con motivazione carente in ordine alla valutazione della fattispecie complessa. Si lamenta ancora l'assenza di qualsiasi motivazione in ordine agli elementi probatori che dovevano desumersi dal "comportamento processuale assunto (v. punto b) pag. 3 memoria30 novembre 1995 in appello)".

Col secondo mezzo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e seguenti c.c. e ancora l'omessa o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, ai sensi dell'art. 360 n.5 c.p.c.. Si afferma che il Tribunale non avrebbe tenuto conto delle argomentazioni svolte in atto di appello circa il comportamento di parte datoriale, anche con riferimento alle lettere di sollecito inviate, al demansionamento,al contrasto fra le disposizioni impartite dall' Amministratore e dal Capo del personale circa i compiti attribuiti ad esso ricorrente.

Col terzo mezzo si denuncia la violazione dell'art. 112 c. p.c. e dell'art. 2697 c.c. e ancora l'omessa e/o insufficiente nonché contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia., Si osserva che il Capo del persona1e ha riconosciuto di aver rivolto al Di Nunzio non solo l'espressione poco riguardosa e tuttavia considerata dal Tribunale idonea a definire il comportamento dell'interlocutore "in modo forse eccessivamente colorito e caustico ma non insultante", ma "forse anche di più" e questo di più doveva essere valutato al fine di ravvisare un comportamento offensivo atto a ledere il prestigio del dipendente al punto di giustificarne le dimissioni.

I tre motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto volti a porre in evidenza i vizi che inficiano la motivazione della sentenza dove ha escluso la sussistenza di una giusta causa nelle dimissioni rassegnate dal Di Nunzio.

Il ricorso è fondato nei termini che di seguito si precisano.

Si premette che il giudizio sull'idoneità della condotta del datore di lavoro a costituire giusta causa delle dimissioni del lavoratore si risolve in un accertamento di fatto demandato al giudice di merito,come tale insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da congrua motivazione (ex pluribus Cass., sent.n. 12768 del 17-12-1997, Cass., sent. n. 203 del 12-01-1983).

Il Collegio di merito ha però disatteso l'assunto del ricorrente nel senso che vi sarebbe stato un comportamento da parte datoriale vessatorio, culminato in un comportamento offensivo da parte del direttore del personale il quale, in presenza di altri dipendenti, gli rivolgeva plateali ingiurie, con una duplice argomentazione consistente anzitutto nel revocare in dubbio la sussistenza di tale pregresso comportamento e comunque di escluderne la rilevanza trattandosi di episodi svoltisi "in un consistente arco temporale", quindi nel limitare la valutazione circa la gravità dell'offesa ad una sola frase che, sulla base dell'autorità di un noto dizionario, viene considerata come colorita e caustica ma non insultante.

Osserva la Corte che il Tribunale è incorso in un palese errore argomentativo, disattendendo il fondamentale canone della logica induttiva che impone di valutare congiuntamente tutti gli elementi acquisiti e di escluderne la rilevanza solo a conclusione dell'indagine, non già in forza di un esame frazionato il cui esito è ovviamente scontato, poiché, se uno o più dati fossero da soli atti a risolvere il thema decidendum ed a fornire la prova richiesta, sarebbe superfluo prendere in esame altri fattori.

Invero il "ventilato trasferimento a Valduggia (poi non attuato)" ben potrebbe esser confinato nell'ambito delle ipotesi operative, sempre consentite nell'ambito di una normale gestione aziendale,se non fosse stato seguito da una destinazione al servizio documentazione tecnica, evidentemente voluta e non solo proposta dal datore di lavoro, tanto che il capo del personale ebbe a risentirsi per il rifiuto del Di Nunzio ad assumere le relative mansioni, ma al riguardo non è dato rinvenire osservazione alcuna nella motivazione della sentenza denunciata. E’ ancora mancata qualsiasi valutazione da parte del giudice di merito in ordine all'affermazione del Di Nunzio, riferita a pag. 12 della sentenza, di non aver considerato l'incarico in parola di livello dirigenziale e non appare quindi condivisibile il diniego del "preteso demansionamento", nel l'attribuzione di un nuovo incarico, evidentemente accettato "obtorto collo" e di poi rifiutato (secondo quanto riferisce il capo del personale) o subordinato ad un ordine scritto (secondo quanto riferisce il Di Nunzio).

Non può quindi esser accettato l'assunto del Collegio di merito nel senso che la sussistenza di una giusta causa di dimissioni andrebbe ricercata solamente mediante la valutazione della gravità delle parole rivolte al Di Nunzio dal capo del personale Arnone nel corso di un incontro in esito al quale l'odierno ricorrente ebbe a rassegnare le dimissioni, atteso che la portata di tali espressioni deve essere anzi valutata in un quadro certo non amichevole che doveva consigliare uno equilibrio nell'uso di un frasario avente comunque una connotazione negativa.

E neppure può essere condiviso l'assunto che l'ammissione dell'Arnone di aver detto "qualcosa di più oltre alla prima frase, "faccia di bronzo", riferita dal Di Nunzio, non fornisce la prova che è stata proferita anche l'altra frase, "sei un verme" sicuramente ingiuriosa, indicata dallo stesso, e soprattutto non è corretto considerare questo "qualcosa di più" come privo di  qualsiasi peso, quando è evidente che in ogni caso è stato resa più cocente e sgradevole un'espressione che il Tribunale definisce come colorita e caustica ma non insultante.

Ed ancora non è corretto valutare il tenore offensivo o meno di una espressione col :mero richiamo all'autorità di un dizionario (peraltro consultato solo parzialmente, essendo mancata la verifica nel medesimo testo, che per vero avrebbe portato a risultati ben diversi, circa la valenza della formula ivi utilizzata a chiarire quella oggetto di indagine) dovendosi comunque verificare il significato e soprattutto l'effetto negativo che l'espressione veniva ad assumere nel contesto di una reprimenda da parte di un dirigente al massimo livello nel riguardi di un dirigente a livello inferiore, quando non risulta che fra i due vi fosse una speciale confidenza o comunanza atta a giustificare un linguaggio meno formale.

Si impone dunque l'accoglimento del ricorso principale e la cassazione dell'impugnata sentenza in parte qua, con rinvio ad altro giudice di eguale grado, che si designa come in dispositivo, per un nuovo esame complessivo delle risultanze acquisite, nel rispetto dei canoni logici sopra specificati.

Con l'unico motivo del contro ricorso incidentale si denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cpc,il vizio di motivazione e si osserva che dal riconoscimento di un credito di lire 1.474.865 per ferie non godute non è consentito dedurre l'ammissione del più consistente credito vantato al riguardo dal Di Nunzio. Si afferma che in memoria di risposta era stata chiesta la reiezione delle domande tutte avanzate dal ricorrente ed era stato quindi negato il fondamento di qualsiasi richiesta di controparte osserva la Corte che la richiesta di reiezione di tutte le avverse domande appare mera clausola di stile, e comunque va letta come riferimento alla posizione assunta, poiché, in forza di contro credito di maggiore entità per l'indennità di preavviso e stipendi riscossi dopo le dimissioni, si riconosce al Di Nunzio un credito per TFR e per ferie non godute ma si nega di dovergli versare somma veruna ed anzi si avanza domanda convenzionale per ottenere il pagamento del residuo a proprio favore.

Appare dunque corretto l'argomento svolto al riguardo nella denunciata sentenza ove si tiene conto dell'esistenza di un credito residuo per ferie, evidentemente per superare il principio per cui il dirigente simette in ferie da solo e non può vantare l'indennità per ferie non godute. E’ infatti pacifico che il Di Nunzio non era un dirigente a livello apicale e pertanto non poteva considerarsi responsabile in proprio della mancata fruizione delle ferie, come d'altro canto risulta dimostrato dall'ammissione di un credito residuo per tale titolo.

La quantificazione del credito operata dal Tribunale sulla base delle risultanze dell'apposito registro esistente in azienda appare senz'altro corretta poiché trattasi di documento proveniente dalla convenuta la quale, dopo aver attribuito le relative annotazioni allo stesso Di Nunzio (circostanza questa smentita dalla consulenza tecnica disposta dal Tribunale), si limita a dolersi della mancata ammissione di una prova per testi che non viene riportata nel contro ricorso, in violazione del principio dell’autosufficienza, con la conseguenza che non è possibile revocare in dubbio la correttezza dell’argomentazione seguita dal Tribunale per giungere alla conclusione della irrilevanza di tale prova, a fronte di un accertamento peritale, neppure contestato, che esclude esser di mano del Di Nunzio le annotazioni su di un registro compilato e custodito all'interno dell'azienda..

D'altro canto non si afferma, sempre in violazione del principio dell'autosufficienza, che nel giudizio di secondo grado, dopo il risultato sfavorevole della consulenza tecnica, sia stato richiesto un supplemento di indagine al fine di identificare l'autore delle annotazioni relative alle ferie non fruite dal Di Nunzio(risultate apposte non contestualmente alla compilazione del registro) e pertanto non è consentito introdurre per la prima volta in sede di legittimità un nuovo tema di indagine, con la prospettazione dell'ipotesiche il teste a suo tempo indicato potrebbe effettivamente far chiarezza sulla persona che ha provveduto a registrare le ferie del dott. Di Nunzio".

Si impone dunque la reiezione del ricorso incidentale.

Il giudice di rinvio deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi.

Accoglie per quanto di ragione il ricorso principale e rigetta quello incidentale.

Cassa l'impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Ivrea.

Roma 10 giugno 1999

Depositata in cancelleria il 19/11/99.

 

Nota 1: E’ l’indennità che spetta al lavoratore che sia costretto a recedere dal rapporto di lavoro per giusta causa (art. 2119 del codice civile).

Nota 2: Trattamento di Fine Rapporto. L’art. 2120 del codice civile – nel nuovo testo approvato con la L. 29.5.1982 n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto) dispone che "in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro diritto ad un trattamento di fine rapporto".

Nota 3: L’art. 2119 del codice civile prevede che ciascuno dei contraenti possa recedere dal contratto di lavoro prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi "una causa che la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto".