INFANZIA E DIRITTI -
BOLOGNA 22 GIUGNO 2002

"Dalle esperienze di qualità: le ragioni della nostra proposta"

RELAZIONE DI GIOVANNI PAGLIARINI, SEGRETARIO NAZIONALE FP CGIL 

"Sin dall’inizio questo mi era chiaro: gli adulti non ti comprenderanno, se non ti vedranno più crescere in modo visibile ti considereranno un tardone, trascineranno te ed il loro denaro da cento medici e, se non la tua guarigione, vorranno almeno la spiegazione della tua malattia." (da " il tamburo di latta " di Gunter Grass).

Il 20 novembre 1989, L’Assemblea della Nazioni Unite ha approvato all’unanimità la Convezione sui Diritti dell’Infanzia.

Ci sono voluti 11 anni di discussione per giungere a quest’importante e storico risultato.

Cinquantaquattro articoli, per sancire i diritti dei bambini di tutto il mondo alla sopravvivenza, alla protezione, allo sviluppo e alla partecipazione; in altre parole, al diritto di sviluppare pienamente le proprie potenzialità.

Chi pensa che quel provvedimento riguardi esclusivamente le parti povere del mondo, commette un grossolano errore, la questione dei diritti dell’infanzia si pone drammaticamente anche nelle zone più ricche, anche nel nostro paese, ed è ancora oggi d’estrema attualità.

La cronaca, spesso nera, ci segnala che nel nostro tessuto sociale vi sono molti, troppi bambini abbandonati in casa; molti bambini abusati fisicamente e psichicamente trascurati; molti bambini sfruttati dai genitori e dalla criminalità; molti bambini colonizzati attraverso la mercificazione; molti bambini dimenticati ed indifesi perché né la politica, né le amministrazioni si fanno veramente carico dei loro problemi.

Perché la situazione è ancora così lontana dai principi sanciti nella Convenzione sui Diritti dell’Infanzia?

Forse perché il concetto di diritti dell’infanzia, così come li conosciamo nella civiltà occidentale europea, è ancora una realtà troppo teorica.

Esiste, infatti, uno scarto tra la diffusione della cultura cosiddetta scientifica sull’infanzia e le parole d’ordine dei mass media, che rappresentano appieno il modello di sviluppo sociale, sulla pratica quotidiana d’accudimento e educazione dei bambini.

La famiglia è il bersaglio di questo scarto: una famiglia che vede i propri compiti, nei confronti dei figli, delinearsi sempre più complessi, man mano che circola il sapere sulle caratteristiche evolutive e sulle fasi di crescita del bambino e contemporaneamente, è sottoposta a regole sociali e del lavoro che intensificano la separazione tra sfera produttiva e riproduttiva e modificano i modelli d’organizzazione della vita familiare.

A fronte di un ambito familiare in cui le possibilità d’incontro e socializzazione tra i bambini sono sempre più rare si diffonde, sempre più, un’identificazione del benessere dei bambini con la soddisfazione soggettiva del benessere materiale.

La cultura dominante, quella dell’apparire a discapito dell’essere, diffusa dai mass media, sostiene questa identificazione. La pubblicità e le immagini trasmettono la visione di un bambino felice, soprattutto perché riceve oggetti e la cui principale ragione di esistere sembra proprio quella di riceverli.

E’ importante, invece, sviluppare un punto di vista "altro", che rifiuti la tendenza a livellare la cultura intorno all’infanzia, per affermare che, le condizioni di vita sono estremamente diversificate e che è dalla conoscenza di questa realtà che si possono riconoscere i diritti individuali e collettivi delle bambine e dei bambini rendendoli soggetti dei propri processi di sviluppo.

Questo presupposto ci conduce a rivedere e superare l’ottica con cui spesso è stata affrontata la questione dei servizi per l’infanzia, utilizzati in prevalenza come risposta ai bisogni di altri (madri-lavoratrici, famiglie), o come sostegno indiretto al salario e solo in subordine risposta ai diritti dei bambini.

Negli ultimi anni è prevalsa anche la logica dell’emergenza finanziaria, centrale e locale, che si è spesso tradotta nella scelta tra mantenimento quantitativo dei servizi o scadimento della qualità e appalto a soggetti privati.

Questa logica economicista trova nella legge finanziaria 2002 il supporto ideale.

Al "taglio delle spese" delle autonomie locali, a prescindere dall’offerta di servizi e alla spinta alle esternalizzazioni ed alle trasformazioni in società per la gestione dei servizi, si aggiunge l’oggettiva marginalità, che nella cultura amministrativa nel suo complesso, rivestono i servizi educativi e scolastici specie quelli dei primi anni di vita.

Purtroppo, la marginalità del ruolo delle scuole gestite dagli Enti Locali, aveva già trovato nella Legge 62/2000 un forte sostegno, infatti, mentre in ogni provvedimento legislativo per "Stato" si intendeva lo Stato centrale e le sue articolazioni e si affermava un modello istituzionale sempre più di decentrato, nella legge le scuole gestite dagli Enti Locali sono definite "paritarie" e sottoposte a condizioni simili a quelle private.

Oltre all’aspetto politico, a dir poco grave, esiste un problema di natura economica che, specie in un momento di contrazione della spesa per i servizi, diviene dirompente; vale ricordare che, le scuole materne degli Enti locali, sono sottoposte a procedure uguali al privato per quanto attiene la concessione dei contributi.

Fermo restando il giudizio espresso, le risorse date dalla legge 62/2000 si sono rivelate un utile strumento per finanziare progetti speciali e per realizzare modelli di scuola migliori.

A fronte della nuova normativa introdotta con la legge sulla parità scolastica è importante recuperare gli aspetti di carattere educativo, sociale e culturale per riaffermare la priorità strategica di questi servizi, ed un utilizzo utile delle risorse; occorre, inoltre, rilanciare un modello di Sistema Formativo Integrato, in cui è fondamentale la collaborazione tra i soggetti pubblici e l’integrazione e il controllo di quelli privati.

Sempre in tema di utilizzo delle risorse e di ruolo sociale dei servizi educativi un’interessante esperienza, purtroppo, non omogenea sul territorio, è stata la gestione della legge 285/ 97 e l’utilizzo di queste risorse per creare servizi integrativi.

E’ mancata una politica di verifica dell’utilizzo di questi fondi e, ancor peggio, è mancata una verifica dei servizi da integrare; malgrado ciò ci preoccupa che le risorse, prima vincolate ai servizi educativi, siano, oggi, inserite nel fondo della 328/2000, senza alcun vincolo e con una delega aperta alle regioni che definiscono le priorità di azione nei piani sociali.

Un ulteriore attacco ai diritti dell’infanzia sta avvenendo con la proposta di legge sui nidi.

La parola d’ordine che ha guidato le lotte per una scuola d’infanzia di qualità e per il pieno riconoscimento del ruolo educativo dei nidi, non è mai stata così vera come ora.

Il nido non è un attaccapanni.

Già l’idea che ancora nella normativa nazionale ed in quella di molte Regioni, il nido continui ad essere un servizio a domanda individuale, come i parcheggi, i bagni pubblici, i macelli, ecc, e non un servizio educativo, dimostra come prevalga un rapporto di cura a scapito di un ragionamento sullo sviluppo dell’individuo bambino.

La proposta di legge sui nidi va oltre, potremmo affermare che la logica che la sostiene è quella dei "diritti dei bambini negati" del bisogno di creare parcheggi.

Se poi la leggiamo assieme al libro bianco di Maroni, allora il cerchio si chiude, visto che l’Europa vuole che le donne lavorino, siccome il Governo le vuole flessibili, allora cosa di meglio di un bel nido aziendale, dove il bimbo non deve essere neppure accompagnato così non ci sono problemi di tempi.

Non condividiamo né la scelta dei micro- nidi di posto di lavoro, che troppo ricordano le stanze di allattamento, né le "tate" messe a disposizione da alcuni comuni per "tenere" i bambini.

Abbiamo sempre voluto nidi aperti al territorio, luoghi di socializzazione e crescita, con operatori formati, con un progetto educativo.

Proprio quando parla degli operatori il progetto di legge svela la sua idea di nido, nessun vincolo formativo, nessun progetto educativo.

Non è solo grave per il futuro, è anche offensivo per tutti coloro che, con passione e con professionalità, con molto studio e ricerca sul campo, oggi, sono i compagni di viaggio dei primi anni.

La scuola della prima infanzia che vogliamo è quella che crea un contesto educativo in grado di sviluppare le potenzialità di crescita affettiva, cognitiva e relazionale, delle bambine e dei bambini, che non sviluppi dannosi disequilibri tra competenze creative e razionalità fin dai primi anni.

In questo modello di scuola diviene fondamentale il rapporto di continuità con la famiglia, l’integrazione tra le figure parentali e quelle educative, anche attraverso la gestione congiunta dei luoghi e delle attività.

Nella nostra idea di scuola non ci possono essere scelte dettate solo da esigenze economiche, scelte che considerano il bambino solo un costo, per questo l’integrazione delle cooperative per prolungare il servizio rischia di produrre effetti di frammentazione, sia nel percorso del bambino, sia nella relazione con la famiglia.

Vogliamo la centralità del contesto educativo/esperienziale, in riferimento al quale acquistano significato evolutivo, per i bambini, i percorsi formativi orientati allo sviluppo delle autonomie di base, alla costruzione dell’identità psicologica personale e delle competenze percettivo sensoriali.

Per fare questo, in primo luogo, si deve puntare alla professionalità educativa delle insegnanti.

Ciò implica un processo continuo di formazione e qualificazione del personale, un continuo atteggiamento di ricerca e sperimentazione, un modello di lavoro che si basa sul lavoro in equipe interdisciplinare.

Niente di più lontano dall’intenzione dichiarata dal Ministro Moratti di avviare da settembre 2002 la frequenza dei bambini di cinque anni e mezzo alla scuola elementare e di due anni e mezzo alla scuola dell’infanzia, in un quadro di totale improvvisazione.

L’effetto del provvedimento sul piano organizzativo non potrà che creare una grande confusione negli operatori del settore, mettere in difficoltà gli Enti Locali, ma, soprattutto, genererà aspettative che non potranno essere esaudite tra i genitori, perché impraticabili (soprattutto per quel che riguarda i bambini di due anni e mezzo alla scuola dell’infanzia).

Provate solo ad immaginare l’impatto sulle strutture, assolutamente inadeguate a rispondere ai tempi dei bambini di due anni e mezzo; i bambini dovranno piegarsi a tempi e spazi decisi dai grandi, dovranno crescere subito ed in fretta.

C’è poi, la necessità, di costruire un contesto educativo, entro cui possano trovare la giusta collocazione anche i vari traguardi formativi, ed una professionalità docente "forte" capace di integrarsi, per creare quel raccordo/ continuità, sia rispetto alle famiglie, sia nel percorso nido/ scuola d’infanzia/ scuola elementare.

Non vogliamo rinunciare al nostro progetto sulla scuola, alla centralità dei diritti dei bambini, alle loro potenzialità e alla loro creatività, per questo continueremo a dire no a progetti di cui non se ne capisce la ragione e cercheremo di usare tutti gli strumenti per elevare il livello qualitativo delle scuole per l’infanzia.

Gli Enti Locali hanno, su questo tema, un grande potere dato dalla legge 59/97, hanno il dovere di coordinare l’offerta formativa e garantire un’adeguata risposta quali/quantitativa ai cittadini.

Uno strumento fondamentale sia per capire cosa esiste sul territorio, in termini di offerta, sia per controllare e verificare i modelli formativi adottati ed il rispetto di standard qualitativi.

Il dovere di coordinare l’offerta formativa, da parte delle Autonomie Locali, comporta una forte azione di programmazione educativa, fondata su progetti, per offrire alle bambine e ai bambini percorsi ed esperienze secondo un piano didatticamente strutturato e non delegato.

Per questo spetta al Sistema delle Autonomie creare strumenti per indagare sulla qualità educativa e gestionale dei servizi, individuando indicatori atti a misurarla ed a renderla leggibile all’esterno.

E’ fondamentale, per una corretta applicazione della parità scolastica, che tuteli i diritti dei bambini, fare riferimento a criteri condivisi di valutazione, a rapporti medi insegnanti/educatori- bambini, fissati e vincolanti.

L’attuazione piena, delle competenze degli Enti Locali, non può che derivare da un percorso concertato tra tutti i soggetti pubblici.

Per questo è necessaria una capillare diffusione di patti territoriali per l’infanzia, per integrare e raccordare bisogni dell’utenza (bambini e famiglie), interventi educativi, servizi, risorse, formazione per il personale e creare quel modello di Sistema Formativo Integrato indispensabile a realizzare il nostro progetto.

La nostra idea di servizi educativi è che devono essere universali, globali, accessibili e di qualità.

La nostra battaglia non è certo nuova, dal 1971 con la legge 1044 che istituisce i nidi comunali ci siamo cimentati in un progetto di qualità che si basava sul riconoscimento dei nidi come parte integrante dei servizi educativi.

Da allora sono passati 30 anni e nonostante limiti legislativi e finanziari questa esperienza, seppure in modo non omogeneo, è cresciuta ed oggi è radicata nella cultura dei territori.

Questa Regione ha ben dimostrato che assieme al parmigiano ed al prosciutto di Parma si possono esportare, anche in America, l’esperienze dei nostri nidi e scuole d’infanzia.

Oggi,il ruolo della scuola d’infanzia e di quella della prima infanzia, assume ulteriore valenza; lo sviluppo della società multietnica, il problema dell’integrazione culturale e sociale, il riconoscimento del valore delle culture "altre" e la separazione dal nucleo culturale originario, costituiscono nuove sfide per le nostre strutture educative.

Per realizzare la qualità dei servizi e accettare le nuove sfide, non possiamo che partire dalla piena valorizzazione della risorsa umana, per questo, il nostro impegno, sarà finalizzato a creare condizioni di sviluppo e di formazione continua, riconoscendo, al personale docente e educativo, la specificità nel lavoro e nei percorsi professionali, nella consapevolezza che, a loro, spetta il ruolo di realizzatori di un diverso modello di sviluppo dell’individuo.

La vertenza sui servizi dovrà affrontare anche i problemi relativi alla gestione dei tempi, superando storiche ed anacronistiche gestioni "fiscali" dei tempi delle attività integrative attraverso una gestione flessibile e collegata ai progetti didattici.

Dobbiamo ottenere che il rapporto medio educatori/bambini di 1 a 6 ,fissato nel CCNL, venga inserito in tutte le normative regionali, prevedendo, inoltre, personale educativo d’appoggio per i progetti di integrazione culturale.

Vogliamo che venga definito chiaramente il rapporto medio insegnanti/bambini per le scuole d’infanzia obbligatorio a prescindere da chi le gestisce.

Infine, dobbiamo creare strumenti che permettano di non disperdere le esperienze e la professionalità degli operatori, attraverso forme di scambio e rielaborazione delle esperienze.

Ma, soprattutto, vogliamo continuare a credere in una scuola nuova a modello dei bambini.

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