La formazione dell’alta dirigenza per l’attuazione del federalismo  istituzionale

 

Intervento all’incontro organizzato dalla SSPAL in occasione dell’apertura dei corsi di   specializzazione per i Segretari comunali e Provinciali. Roma, 9 novembre 2005,Campidoglio - di Orazio Parisi Coordinatore nazionale segretari comunali e provinciali FP CGIL

 

La CGIL ha posto da subito particolare attenzione ai processi di revisione costituzionale in atto nel Paese. Il suo essere sindacato confederale impone, infatti, una cultura ed una pratica rivendicativa e negoziale di estrema attenzione ai diritti di cittadinanza ed alla qualità complessiva del vivere civile.

In un documento approvato dalla Segreteria nazionale nel febbraio del 2001, nel denunciare come dietro la parola federalismo si stessero nascondendo in quel momento i più vari e contraddittori disegni ( per un verso, strategie mirate alla disarticolazione dello stato unitario, di segno secessionista o caratterizzate da chiuse impostazioni localistiche, oppure dirette a usare la leva c.d. federalista per fare altro, ovvero per promuovere politiche iper-liberiste finalizzate a mettere in discussione lo stesso catalogo dei diritti sociali fondamentali; per altro verso, accezioni riduttive che hanno interpretato la scelta federalista come mero decentramento amministrativo, o la hanno diluita in un caleidoscopio di formule incoerenti), si chiedeva di porre fine a quella che appariva una commedia degli equivoci e si forniva un contributo per delineare con grande chiarezza i principi costitutivi e gli assi strategici di una seria e solida riforma federale della Repubblica.

Il contributo poteva riassumersi nei seguenti principi fondamentali:

a)      il federalismo è un modo per riformare lo Stato-nazione, non per dissolverlo;

b)      il federalismo serve a rappresentare, a governare e amministrare meglio;

c)      il federalismo è un modo per coniugare autogoverno e cooperazione ed assicurare una più efficace coesione sociale.

Agli inizi del 2003, di fronte allo scenario della devolution, la posizione del sindacato fu chiara: “la devolution abolisce la solidarietà, è frutto di una visione egoistica e localistica, ma soprattutto mostra un’idea mercantile dello Stato, una società fondata sulla competizione e sull’antagonismo, sorretta solo dalla rappresentanza degli interessi che antepone le pretese dei forti ai diritti dei deboli. E’ necessario tornare alle radici teoriche dell’idea federalista in quanto patto tra cittadini ed istituzioni che si stabilisce per unire , valorizzando le diversità in un quadro coerente, democratico, partecipato. Un federalismo, quindi, concepito come strumento per rafforzare i diritti di cittadinanza.” (Per un federalismo solidale- Paolo Nerozzi- Segretario confederale CGIL).

Quello che è accaduto successivamente è storia dei nostri giorni ed il giudizio del nostro sindacato è sintetizzato dall’adesione ai comitati “Salviamo la Costituzione” e dalla frase di apertura della 3^ tesi (Difendere la Costituzione. Completare la transizione politico-istituzionale) del 15° congresso CGIL, che si terrà nel 2006 : “ La Costituzione nata dalla Resistenza, i suoi principi fondanti, i suoi valori, la stessa centralità che assegna al lavoro, rappresentano un patrimonio che la Cgil difende e difenderà dagli attacchi che già le sono stati portati – attraverso le modifiche in corso di votazione in Parlamento – i quali, per la loro vastità, intaccano e si riflettono anche sulla prima parte, quella relativa ai valori fondanti… La Cgil sarà in campo nel referendum confermativo delle modifiche costituzionali con l’obiettivo di abrogarle.”

Si trattava di premessa doverosa sull’approccio del nostro sindacato al tema oggi in discussione. Premessa che non ci esime dal dare, comunque, un breve contributo su un tema tanto rilevante quale quello dell’alta dirigenza locale e della sua missione in un contesto federalista.

Appare evidente che l’attuazione concreta delle modifiche costituzionali rappresenterà una sfida ed un’opportunità forse senza precedenti per il sistema delle autonomie locali.

Una sfida che presuppone una classe dirigente all’altezza , capace di gestire correttamente un processo di cambiamento che deve vedere il suo approdo finale in una riorganizzazione dei livelli istituzionali finalizzata al miglioramento dei servizi resi al cittadino.

Il federalismo, quindi, esalta ancor più la missione dell’alta dirigenza pubblica, il suo essere al servizio della leale realizzazione dei programmi politici legittimati dalla rappresentanza democratica assicurandone, al contempo, una traduzione nell’azione pubblica conformata ai principi dell’imparzialità e del buon andamento, coerentemente alla propria missione di tutela e positivizzazione dei diritti di cittadinanza. 

Del federalismo non possiamo nascondere i rischi di un’incremento dei costi, di una conflittualità diffusa tra i vari livelli di governo, di un’impreparazione alle nuove responsabilità.

Fattori questi potenzialmente in grado di determinare il fallimento degli ideali che hanno mosso alle riforme.

Un processo di cambiamento di tale portata deve quindi essere gestito con la massima attenzione nei riguardi della maggiore delle  risorse della pubblica amministrazione, il suo personale. Inutile evidenziare il rilievo che assume la dirigenza nella gestione e nel veicolamento del cambiamento all’interno delle strutture.

Si avverte forte l’esigenza di una formazione che rappresenti una dimensione costante nella vita professionale dell’alta dirigenza e che le permetta di assumere consapevolmente le nuove responsabilità che il ruolo richiede.

Per fare questo sono necessarie politiche di motivazione e responsabilizzazione, impegno ed investimenti nella formazione,  riconoscimento della indispensabile  autonomia della dirigenza.

Investimenti che devono partire sin dalla selezione d’ingresso dei nuovi dirigenti delle autonomie per creare professionalità capaci di gestire la complessità delle relazioni e delle nuove funzioni che gli ee.ll. sono chiamati a svolgere.

Nel caso degli ee.ll. è assolutamente necessario che la SSPAL assuma un ruolo centrale nei processi formativi di tutto il sistema delle Autonomie, ponendosi come autorevole riferimento dei processi di adeguamento professionale che inevitabilmente dovranno essere attivati.

Registriamo come alcune realtà regionali stiano operando scelte autonome in merito alla formazione del personale pubblico e questo deve indurci ad una riflessione in merito alle ragioni di un mancato radicamento della Sspal nelle dinamiche formative delle aa.ll..

I segretari comunali, come sempre, saranno in prima linea nell’affrontare le difficoltà del cambiamento ed in questo nuovo impegno dovranno essere adeguatamente supportati dall’attività formativa e di aggiornamento professionale posta in essere dalla Sspal.

Queste le considerazioni generali su un tema che merita tutto il dovuto approfondimento, come nel concreto debba operarsi sarà oggetto di confronto, quel che è certo è che la situazione attuale presenta un panorama diametralmente opposto di programmata demotivazione e mortificazione economica e professionale di una categoria, quella dei segretari comunali e provinciali, che ha sempre accettato le sfide del cambiamento ed ha rappresentato un pilastro insostituibile di ogni riforma dell’organizzazione e del funzionamento degli ee.ll.

I segretari comunali e provinciali aspettavano un segnale forte dalla politica e quel segnale è arrivato ma in senso diametralmente opposto con una serie di negativi interventi legislativi e con una direttiva sul rinnovo contrattuale, offensiva ed arrogante, che si dilunga nella maggior parte nella definizione delle modalità di graduale esaurimento-svuotamento della categoria e per la restante parte in interventi peggiorativi del suo status.

Non è questa la sede per discutere sulla direttiva, nei prossimi giorni faremo conoscere il nostro pensiero nei riguardi dei suoi contenuti , in questa occasione, però, non possiamo fare a meno di rilevare come siamo d’accordo su tutto quello che è stato detto in merito alla valorizzazione del patrimonio professionale rappresentato dall’alta dirigenza locale ma assistiamo, nella realtà dei fatti , ad una sua progressiva demolizione .

La CGIL ha posto da subito particolare attenzione ai processi di revisione costituzionale in atto nel Paese. Il suo essere sindacato confederale impone, infatti, una cultura ed una pratica rivendicativa e negoziale di estrema attenzione ai diritti di cittadinanza ed alla qualità complessiva del vivere civile.

In un documento approvato dalla Segreteria nazionale nel febbraio del 2001, nel denunciare come dietro la parola federalismo si stessero nascondendo in quel momento i più vari e contraddittori disegni ( per un verso, strategie mirate alla disarticolazione dello stato unitario, di segno secessionista o caratterizzate da chiuse impostazioni localistiche, oppure dirette a usare la leva c.d. federalista per fare altro, ovvero per promuovere politiche iper-liberiste finalizzate a mettere in discussione lo stesso catalogo dei diritti sociali fondamentali; per altro verso, accezioni riduttive che hanno interpretato la scelta federalista come mero decentramento amministrativo, o la hanno diluita in un caleidoscopio di formule incoerenti), si chiedeva di porre fine a quella che appariva una commedia degli equivoci e si forniva un contributo per delineare con grande chiarezza i principi costitutivi e gli assi strategici di una seria e solida riforma federale della Repubblica.

Il contributo poteva riassumersi nei seguenti principi fondamentali:

a)      il federalismo è un modo per riformare lo Stato-nazione, non per dissolverlo;

b)      il federalismo serve a rappresentare, a governare e amministrare meglio;

c)      il federalismo è un modo per coniugare autogoverno e cooperazione ed assicurare una più efficace coesione sociale.

Agli inizi del 2003, di fronte allo scenario della devolution, la posizione del sindacato fu chiara: “la devolution abolisce la solidarietà, è frutto di una visione egoistica e localistica, ma soprattutto mostra un’idea mercantile dello Stato, una società fondata sulla competizione e sull’antagonismo, sorretta solo dalla rappresentanza degli interessi che antepone le pretese dei forti ai diritti dei deboli. E’ necessario tornare alle radici teoriche dell’idea federalista in quanto patto tra cittadini ed istituzioni che si stabilisce per unire , valorizzando le diversità in un quadro coerente, democratico, partecipato. Un federalismo, quindi, concepito come strumento per rafforzare i diritti di cittadinanza.” (Per un federalismo solidale- Paolo Nerozzi- Segretario confederale CGIL).

Quello che è accaduto successivamente è storia dei nostri giorni ed il giudizio del nostro sindacato è sintetizzato dall’adesione ai comitati “Salviamo la Costituzione” e dalla frase di apertura della 3^ tesi (Difendere la Costituzione. Completare la transizione politico-istituzionale) del 15° congresso CGIL, che si terrà nel 2006 : “ La Costituzione nata dalla Resistenza, i suoi principi fondanti, i suoi valori, la stessa centralità che assegna al lavoro, rappresentano un patrimonio che la Cgil difende e difenderà dagli attacchi che già le sono stati portati – attraverso le modifiche in corso di votazione in Parlamento – i quali, per la loro vastità, intaccano e si riflettono anche sulla prima parte, quella relativa ai valori fondanti… La Cgil sarà in campo nel referendum confermativo delle modifiche costituzionali con l’obiettivo di abrogarle.”

Si trattava di premessa doverosa sull’approccio del nostro sindacato al tema oggi in discussione. Premessa che non ci esime dal dare, comunque, un breve contributo su un tema tanto rilevante quale quello dell’alta dirigenza locale e della sua missione in un contesto federalista.

Appare evidente che l’attuazione concreta delle modifiche costituzionali rappresenterà una sfida ed un’opportunità forse senza precedenti per il sistema delle autonomie locali.

Una sfida che presuppone una classe dirigente all’altezza , capace di gestire correttamente un processo di cambiamento che deve vedere il suo approdo finale in una riorganizzazione dei livelli istituzionali finalizzata al miglioramento dei servizi resi al cittadino.

Il federalismo, quindi, esalta ancor più la missione dell’alta dirigenza pubblica, il suo essere al servizio della leale realizzazione dei programmi politici legittimati dalla rappresentanza democratica assicurandone, al contempo, una traduzione nell’azione pubblica conformata ai principi dell’imparzialità e del buon andamento, coerentemente alla propria missione di tutela e positivizzazione dei diritti di cittadinanza. 

Del federalismo non possiamo nascondere i rischi di un’incremento dei costi, di una conflittualità diffusa tra i vari livelli di governo, di un’impreparazione alle nuove responsabilità.

Fattori questi potenzialmente in grado di determinare il fallimento degli ideali che hanno mosso alle riforme.

Un processo di cambiamento di tale portata deve quindi essere gestito con la massima attenzione nei riguardi della maggiore delle  risorse della pubblica amministrazione, il suo personale. Inutile evidenziare il rilievo che assume la dirigenza nella gestione e nel veicolamento del cambiamento all’interno delle strutture.

Si avverte forte l’esigenza di una formazione che rappresenti una dimensione costante nella vita professionale dell’alta dirigenza e che le permetta di assumere consapevolmente le nuove responsabilità che il ruolo richiede.

Per fare questo sono necessarie politiche di motivazione e responsabilizzazione, impegno ed investimenti nella formazione,  riconoscimento della indispensabile  autonomia della dirigenza.

Investimenti che devono partire sin dalla selezione d’ingresso dei nuovi dirigenti delle autonomie per creare professionalità capaci di gestire la complessità delle relazioni e delle nuove funzioni che gli ee.ll. sono chiamati a svolgere.

Nel caso degli ee.ll. è assolutamente necessario che la SSPAL assuma un ruolo centrale nei processi formativi di tutto il sistema delle Autonomie, ponendosi come autorevole riferimento dei processi di adeguamento professionale che inevitabilmente dovranno essere attivati.

Registriamo come alcune realtà regionali stiano operando scelte autonome in merito alla formazione del personale pubblico e questo deve indurci ad una riflessione in merito alle ragioni di un mancato radicamento della Sspal nelle dinamiche formative delle aa.ll..

I segretari comunali, come sempre, saranno in prima linea nell’affrontare le difficoltà del cambiamento ed in questo nuovo impegno dovranno essere adeguatamente supportati dall’attività formativa e di aggiornamento professionale posta in essere dalla Sspal.

Queste le considerazioni generali su un tema che merita tutto il dovuto approfondimento, come nel concreto debba operarsi sarà oggetto di confronto, quel che è certo è che la situazione attuale presenta un panorama diametralmente opposto di programmata demotivazione e mortificazione economica e professionale di una categoria, quella dei segretari comunali e provinciali, che ha sempre accettato le sfide del cambiamento ed ha rappresentato un pilastro insostituibile di ogni riforma dell’organizzazione e del funzionamento degli ee.ll.

I segretari comunali e provinciali aspettavano un segnale forte dalla politica e quel segnale è arrivato ma in senso diametralmente opposto con una serie di negativi interventi legislativi e con una direttiva sul rinnovo contrattuale, offensiva ed arrogante, che si dilunga nella maggior parte nella definizione delle modalità di graduale esaurimento-svuotamento della categoria e per la restante parte in interventi peggiorativi del suo status.

Non è questa la sede per discutere sulla direttiva, nei prossimi giorni faremo conoscere il nostro pensiero nei riguardi dei suoi contenuti , in questa occasione, però, non possiamo fare a meno di rilevare come siamo d’accordo su tutto quello che è stato detto in merito alla valorizzazione del patrimonio professionale rappresentato dall’alta dirigenza locale ma assistiamo, nella realtà dei fatti , ad una sua progressiva demolizione .

Roma, 10 novembre 2005